Ugento
Racconto di Lomes, aristocratico Messapico

Tomba dell'atleta (Museo archeologico)

INTRODUZIONE ALL'ASCOLTO

Nel V secolo A.C., l’aristocrazia messapica ugentina commissiona la costruzione di un imponente monumento funerario ad artisti e architetti locali. La triste occasione è la morte di un trentenne, ma nel sarcofago saranno deposti nel tempo altri corpi, e insieme ad essi ricchi corredi funerari, a testimonianza del prestigio dei committenti aristocratici, e dei loro fitti contatti con i Tarantini e con la cultura greca. Accostatevi a questo grandioso monumento, porgete l’orecchio. Viene da lontano, lontanissimo, la voce che ascolterete, fra un momento.

Italiano

TESTO

Cosa può contenere, secondo voi, una tomba? A distanza di secoli, a cavallo dei millenni, cosa resta, quando l’uomo scompare e il silenzio, dentro, vi rimbomba?

Eppure, vedete, resiste sempre qualcosa, una pietra, un vaso, il frammento di una cosa, un niente fatto di terra che ci mantiene in qualche modo vivi, anche sottoterra.

In questo sepolcro enorme ho deposto il corpo perfetto di mio figlio. Uno ad uno ho carezzato i suoi trent’anni, qui li ho pianti, sotto la luce implacabile di Luglio. E qui, d’ora in avanti, troveranno posto i figli dei suoi figli, quando l’ombra dell’Ade si sarà allungata su di loro.

Custodire il tuo nome nella tempesta terribile del tempo: è questo il compito di un padre.

Dicono che la morte ci tratta tutti allo stesso modo, che è fredda ed imparziale. Ma i nomi no, non hanno tutti la stessa sorte.

A cosa servono altrimenti tutti gli onori, il potere, le ricchezze? A cosa giovano gli ori che conto in questa stanza?

Non aspetterò che il tempo ci trasformi in dimenticanza.

Voglio che quando il traghettatore eterno ti chiamerà per portarti sull’altra sponda, voglio che tutti fermino la loro marcia per un momento, e si chiedano chi è che fa luce in quel tormento, che nome ha quel tale che illumina anche gli abissi, dentro la notte fonda!

 

Per questo, figlio, la tua non sarà una tomba, ma uno scrigno, una lettera spedita al cuore dell’eternità, un forziere che conservi il tuo nome sotto il cielo, tutte le sere.

Dovresti vedere, quanti tesori ho appeso dentro il tuo sarcofago dipinto! Vengono dai migliori artisti ed artigiani di Taranto, e del Peloponneso, hanno viaggiato per terre e mari burrascosi, per essere deposti adesso accanto alle tue mani.

Tua madre dice che sono un pazzo, mi chiede a cosa serve lasciarti due strigili di bronzo, ora che non hai più gare da affrontare e sfide da combattere, e a cosa servono le anfore e gli unguenti senza nessuna pelle calda da curare.

Ma io mi immagino, fra mille e mille anni,  mi immagino la faccia  di coloro che apriranno questa tomba, sia che siano dei o altri mortali, come noi.

Mi immagino l’accecante meraviglia di chi prenderà in mano uno di questi vasi, una spilla, fra queste, una lucerna, e inizierà a far luce, lungo i corridoi del tempo, sulla mia famiglia.

Finché il suo nome, di nuovo, tornerà alla veglia.

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