Ugento
Racconto di Sofia Codacci Pisanelli

Zeus di Ugento (Museo archeologico)

INTRODUZIONE ALL'ASCOLTO

Il 24 dicembre del 1961 gli operai incaricati di scavare le fondamenta di una casa privata, in via Fabio Pittore, scoprono una statua in bronzo, mancante di un piede e della mano destra. La signora Sofia Nicolazzo Codacci Pisanelli, allora presidente della Pro-Loco di Ugento, è la prima a intuire l’importanza straordinaria del ritrovamento. Si tratta della statua dello Zeus saettante, risale al 530 a.C.,e probabilmente a suo tempo troneggiava sopra una colonna, in un recinto sacro dove gli Ugentini offrivano agli dei sacrifici e libagioni. L’oggetto forse fu interrato volutamente dai Messapi, e questa è stata la fortuna sua. Ma di tutto questo, potrà parlarci meglio donna Sofia.

Italiano

TESTO

Erano anni che non passavo una notte di Natale così! Avevo dimenticato - tutti lo facciamo - cosa significa frugare nel buio della stanza, sentire il respiro della notte, guardare di continuo la lancetta delle ore che non si muove mai abbastanza!

Quella notte di nuovo, come quando ero bambina, mi è arrivato un dono inimmaginato. Non è venuto dal cielo, però, niente slitte, renne, e lunghe barba bianche. Veniva da sotto terra, e a portarlo in luce sono stati gli operai che lavoravano a casa dei signor Corsano. Era loro che aspettavi, mio caro Zeus, hai aspettato duemilacinquecento anni, per apparire alle loro facce stanche.

«Signora Sofia, guardate! Guardate voi, che ne capite! Abbiamo trovato nu bellu pupu! Sarà molto antico, signora? Voi che dite? … Ma non potete capire, la puzza, in quella buca, sotto il capitello! Là ci finivano gli scarichi delle case, capite, è già molto che la statua non se ne è uscita fuori da sola a prendere un poco d’aria nella piazza!».

E adesso eri lì, nella stanza accanto, pulito alla buona e adagiato a letto sul mantello rosso con cui mio figlio si travestiva da soldato romano, a carnevale. Ti mancava un piede ed una mano destra, ed eri ancora tutto incrostato di terra e fango, ma con i tuoi occhi bui, che si affacciavano nel tempo, mi avevi già stregato!

Non sapevo ancora chi fossi, se un re, un guerriero,  o chissà chi, non sapevo che mentre un Dio nasceva dentro una capanna e tutta Ugento si preparava a festeggiarlo, un altro mi dormiva nella stanza accanto. E c’ero io, al posto dei pastori, che ad ogni mezz’ora, nella notte, andavo a visitarlo!

Il giorno dopo, mi sono recata io stessa sul cantiere, e i miei archeologi operai hanno trovato il piede e la mano che mancavano. Con del nastro adesivo, li ho riattaccati al corpo, con gli occhi bagnati, come una bambina che riaggiusta un gioco che le si era rotto.

In attesa che arrivassero quelli della Soprintendenza, i mesi successivi ho fatto al mio ospite anche una doccia: mentre l’acqua calda lo puliva, e io passavo con la mano il bronzo della sua pelle antica, rivedevo le vene, i muscoli, i lineamenti decisi degli zigomi, la bocca pronta per dischiudersi, e sentivo la statua, di nuovo, farsi viva.

Da quel giorno, il pupo ha ripreso a raccontare.

 

«C’è stato un tempo in cui Ugento era uno dei più importanti centri di questa vostra terra. Punto di arrivo e di riferimento per le navi che dalla Grecia e dal Mediterraneo arrivavano a portare  nuovi volti, nuova vita, nuova guerra. È così che sono arrivato io stesso, sono stato accolto con favore dai Messapi, per via del mio potere sui cieli e sopra i fulmini. Ho ricevuto doni e libagioni in abbondanza, per difendere queste mie nuove genti dai nemici tarantini, dai loro atti di sacrilegio

e tracotanza.

Immaginate un tempio all’aperto, un recinto sacro sulla sommità di Ugento, e una processione di nobili signori che si inginocchia davanti ai cippi e alle colonne e lì versa il sangue di un agnello, e prega: “klaohi Zis! Ascolta, Zeus! Tu che governi le terribili saette, tu che rombi potente fra le nubi! Punisci coloro che verranno a cercare le nostre vite, e non contenti saliranno ai templi per farne pietre  sbriciolate!”

Immaginate, in tutti questi secoli nascosto sotto terra, quante volte quelle parole, mi sono ritornate!»

 

Voi non sapete quante volte ho immaginato  di vedere per davvero nelle orbite vuote, sul volto della statua, i riflessi di tutte quelle vite che lì si sono affacciate, duemilacinquecento anni or sono.

Ma ve lo immaginate, che bellezza? Entrare così, nel cuore e nelle anime di donne e uomini stanziati sull’altra sponda del tempo: andare e ritornare, come fossimo una brezza, e scoprire quanto è cambiato e quanto è rimasto uguale, nel corso dei millenni, dentro al petto.

Sarebbe un miracolo degno del dio del tuono!

Ma chissà, magari si può fare per davvero! Guardate bene, nel profondo dei suoi occhi, entrate, nel centro esatto del mistero!

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